IL potere del cane

Il potere del cane”  ( The power of the dog)  premiato  Leone d’argento – Premio speciale per la miglior regia

Biennale Cinema 2021

Nel film ” Il potere del cane “ Phil Burbank leader indiscusso del ranch di famiglia, gestito assieme al fratello George, appartiene a buon diritto a quei pioneri della frontiera che hanno colonizzato il selvaggio West. Egli vede profilarsi un grave pericolo per sé e per l’intera proprietà quando il fratello George si innamora di una donna, la vedova Rose, madre di Peter, e la sposa.

Phil scatenerà una terribile guerra psicologica contro i nuovi arrivati e userà qualsiasi subdolo mezzo, allo scopo di liberarsene, perché nessun estraneo deve intromettersi nel suo ‘regno’.

La regista Jane Campion, folgorata dal romanzo(1967)  https://it.wikipedia.org/wiki/Il_potere_del_cane_(Savage)

di Thomas Savage https://it.wikipedia.org/wiki/Thomas_Savage_(scrittore) ha avuto seri dubbi prima di portare sul grande schermo una storia con tanti personaggi maschili e quindi caratterizzata da temi fortemente virili. L’unica donna presente nella storia viene talmente perseguitata dal rude Phil che il disagio di rappresentare siffatta violenza ha posto seri problemi alla regista. Ma il vigore letterario e l’efficacia narrativa del libro hanno convinto la Campion a dirigerne la trasposizione cinematografica.

Film attesissimo della regista neozelandese, dopo anni di silenzio, “Il potere del cane” ha diviso la critica fra chi lo ha esaltato e chi, invece, lo ha considerato un film inerte, patinato, senza regia. Girato negli sconfinati spazi della Nuova Zelanda, dove viene ricreata l’atmosfera di un America altrettanto sconfinata, la storia racconta i conflitti interiori delle quattro figure principali carenti, secondo questa corrente critica, di vita recitativa che viene espressa solo in un freddo esercizio di stile. Vero, non vero?

Lo spettatore giudicherà ricordando, però, che trasporre un libro in un film è un’operazione assai complicata a livello cinematografico. Solo leggere l’opera scritta forma il giudizio su cosa è andato bene/male nella trasposizione.

Riavvolgiamo un attimo il nastro della trama: durante il 1925 in un vasto ranch del Montana, incastonato in un panorama da favola, una coppia di ricchi fratelli, Phil (Benedict Cumberbatch) e George Burbank (Jesse Plemons), i proprietari, ne gestiscono le attività. Phil, selvaggio, brillante, crudele, è l’anima del ranch mentre George, gentile e puntiglioso, sembra subirne la personalità.

Quando il secondo sposa Rose (Kirsten Dunst) segretamente e la porta al ranch, con il figlio Peter (Kodi Smit-McPhee), inizia la spietata opposizione di Phil sino al punto di cercare di separare il figlio dalla madre.

In questo western psicologico dove i personaggi sono prigionieri di sé stessi, nello scorrere lento della natura fra rocce e vallate, la Campion gira una storia incentrata sul carattere dei protagonisti più che sull’azione, sulla psiche di personaggi maschili che sono la parte principale del romanzo.

Cosa non ha funzionato allora? La regista neozelandese, volendo rappresentare una lotta di emozioni dentro e fuori l’io personale, ha tolto probabilmente l’acqua della vita alla narrazione e rimosso quell’emotività necessaria in una trama dove gli impulsi umani sono l’asse principale.

Nella proiezione rimangono purtroppo schematizzati i tormenti interiori di Phil come l’amore inespresso, la non accettazione-repressione della propria omosessualità, la gelosia e l’esclusività nel possesso del patrimonio, il desiderio di sopraffazione in un mondo dove la legge del più forte prevale ancora. Ne risulta, perciò, un’interpretazione troppo accennata e debole del cattivo da parte di  Cumberbatch -Phil.

Possente ranchero, cow boy macho, egli finirà per essere avviluppato dalla propria tela e finire nella trappola che Peter, il figlio intelligente e mingherlino di Rose, gli tenderà. Il diabolico piano del ragazzo avrà successo, soluzione finale di un indifeso adolescente unico a vedere, come Phil, il profilo del cane sul grande massiccio al confine del ranch e a coglierne il maestoso potere di ispirazione (da qui il titolo del film).

Ed è proprio questa la lezione di vita imparata da Peter in “Il potere del cane” ovvero che non c’è spazio per i più deboli, destinati inevitabilmente a soccombere.

In fondo “A volte sei tu che mangi l’orso, a volte è l’orso che mangia te”  (citazione da “ Il grande Lebowski)

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